lunedì 14 maggio 2012

appunti di bioetica

Estratti significativi da una tesi di dottorato in bioetica (SERGIO FUCCI
Situazioni critiche nella relazione medico-paziente :il rifiuto delle cure e le direttive anticipate)



"[...] La questione che ci interessa esaminare, peraltro, è se, fermo restando l’implicito riconoscimento del diritto alla vita nella carta fondamentale, esiste un contrapposto diritto a morire, eventualmente anche attraverso il rifiuto delle cure salvavita, ovvero se il diritto alla vita è disponibile ovvero rinunciabile.
La posizione della dottrina giuridica sul punto è diversa a seconda delle situazioni che vengono prese in esame.
La rinuncia alla vita può avvenire in seguito al suicidio dell’interessato - che è atto di per sé non punibile, anche nella forma del tentato suicidio, mentre è punita l’agevolazione ovvero l’istigazione al suicidio in base al disposto dell’art. 580 c.p – ovvero con altre modalità operative. Una dottrina piuttosto radicale ritiene che “tra i diritti inviolabili” esiste “anche un diritto alla morte, alla propria morte”, costituzionalmente fondato ovvero che sussiste un “diritto al suicidio” che rientra nell’intangibile libertà della persona"






Ancora una volta viene sottolineata la non punibilità del suicidio e del tentato suicidio con buona pace degli attivisti cattolici. E menomale; ma si ricordi che in altri stati il tentato suicidio è considerato reato (in california, ad esempio).


"[...] Con successiva sentenza n. 26446/02, Volterrani) la S.C. ritorna sul tema della rilevanza del consenso informato, affermando che la volontà del paziente “svolge un ruolo decisivo soltanto quando sia eventualmente espressa in forma negativa”(grassetto nostro). Questa decisione, che contiene affermazioni non sempre lineari e condivisibili, esprime una forte critica all’eccessivo valore attribuito al consenso informato come causa di giustificazione dell’intervento medico. Osserva al riguardo la Corte che il consenso espresso preventivamente dall’interessato potrà assumere maggiore importanza ai fini penalistici solo qualora interverranno modifiche legislative in attuazione della Convenzione di Oviedo 4/4/97 sui diritti dell’uomo e la biomedicina, “ratificata in Italia con la recente legge n. 145 del 28/3/2001”, che conferisce al consenso dell’infermo “una valenza più pregnante nell’ottica di una rivalutazione dell’individuo rispetto alla società e di un ragionevole affrancamento del medesimo dagli obblighi che questa impone”. Nell’attuale quadro normativo, secondo la S.C., “il medico è legittimato a sottoporre il paziente,affidato alle sue cure, al trattamento terapeutico che giudica necessario alla salvaguardia della salute dello stesso, anche in assenza di un esplicito consenso” in quanto, in difetto di un esplicito dissenso, è ipotizzabile “l’esistenza di uno stato di necessità generale, e per così dire,“istituzionalizzato”, intrinseco cioè ontologicamente, all’attività terapeutica”
Il valore attribuito dall’ordinamento giuridico al dissenso libero e informato, espressione cioè di “una scelta consapevole ed esente da condizionamenti, interni o esterni, di qualsivoglia natura che possano inficiare il naturale processo di formazione della volontà”, comporta, secondo la S.C., che il medico “in presenza di una determinazione autentica e genuina non può che fermarsi, ancorché l’omissione dell’intervento terapeutico possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell’infermo e, persino la sua morte”. Con questa sentenza, finalmente, si sancisce il diritto del paziente di rifiutare consapevolmente qualsiasi trattamento, anche quello “salvavita” e il dovere del medico di astenersi dall’intervenire in presenza del preventivo dissenso espresso dall’interessato. È un passaggio molto importante nella giurisprudenza della S.C. perché nelle sentenze precedenti, come sopra osservato, l’autonomia del paziente rispetto alle cure trovava un limite, implicito o esplicito, nell’indisponibilità della vita umana. Questa “forte” affermazione del diritto al dissenso, viene temperata dalla S.C. con l’osservazione che “si tratta evidentemente di ipotesi estreme che nella pratica raramente è dato di registrare, se non altro perché chi versa in pericolo di vita o di danno grave alla persona, a causa dell’inevitabile turbamento della coscienza generato dalla malattia, difficilmente è in grado di manifestare il suo intendimento”. Affermazione, quest’ultima, non condivisibile nella sua assolutezza, sia perché la “malattia” non implica di per sè un’incapacità decisionale, ma anche perché non sempre il pericolo di vita sorge all’improvviso e, pertanto, la volontà del paziente può essere correttamente manifestata in una fase di cura precedente a quella finale, stante il prevedibile esito di alcuni morbi. D’altra parte la capacità di decidere, per le persone maggiorenni, è presunta dalla legge e, quindi, non può essere messa in discussione se non in presenza di concreti e validi motivi di natura obiettiva.Altrimenti c’è il rischio di considerare incapace di decidere il paziente che non concorda con la terapia salvavita proposta dal medico."






Resta dunque saldo il principio del dissenso purché "forte ed espresso in forma negativa"; mi sorprende che possa intendersi una fattispecie di dissenso espresso in una qualche forma positiva (ma cfr. art 5 cod. civ. sugli atti di disposizione del proprio corpo, sovente chiamato in causa dagli attivisti cattolici o affini)
Concludo con una puntualizzazione dell'applicabilità del TSO (trattamento sanitario obbligatorio) che sovente turba gli animi anarchico libertari:

"[...] In sostanza, esclusa l’ipotesi del trattamento sanitario obbligatorio per legge, l’interessato rimane esclusivo titolare del diritto di curarsi o meno secondo le indicazioni dei sanitari che lo assistono. I proponenti, nella loro relazione, ricordano anche che il rifiuto delle cure è rafforzato dal fatto che l’obbligatorietà di un trattamento può essere stabilita dalla legge solo quando è in gioco anche la salute di terzi soggetti ovvero quando “il disturbo mentale evidenzi il rischio di manifestazioni violente” e trova un ulteriore limite nel necessario rispetto della dignità della persona."

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