martedì 26 giugno 2012

E' stato bellissimo ricevere questo messaggio:
Notte amore dormi bene ti amo
e poi il mattino:buon giorno amore...

Sono innamoratissimo e ho una ragazza meravigliosa che non sa di esserlo.
Non posso non volerle bene è impossibile <3 <3

Ancora sull'idiota greco:l'etica di Aristotele

Estratto dall'etica di Aristotele dalla storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell

"[...] Le opinioni di Aristotele intorno all'etica rappresentano,perlopiù,le opinioni prevalenti tra gli uomini colti e d'esperienza dei suoi tempi [...] Coloro che non scendono al di sotto nè si elevano al disopra el livello di cittadini onesti e beneducati troveranno nell'etica un'esposizione sistematica dei principi da cui essi sostengono che la loro condotta debba esser regolata. Chi cerca qualcosa di più sarà disilluso [...]. Il bene , dice Aristotele, è la felicità,che è un'attività dell'anima. Platone aveva ragione a dividere l'anima in due parti, una razionale e una irrazionale. La parte irrazionale si divide in vegetativa (che si trova anche nelle piante) e appetitiva (che si trova in tutti gli animali). L'appetito può entro certi limiti,essere razionale,quando i beni che cerca sono tali da ricevere l'approvazione della ragione. Questo è essenziale per la virtù perché in Aristotele solo la ragione è puramente contemplativa e non porta ,senza l'aiuto dell'appetito,all'attività pratica. Vi sono due tipi di virtù:intellettuale e morale corrispondenti alle due parti dell'anima. Le virtù intellettuali si apprendono attraverso l'insegnamento,le virtù attraverso le abitudini. E' compito del legislatore creare dei buoni cittadini incoraggiando i buoni costumi. Diveniamo giusti compiendo azioni giuste e lo stesso può dirsi pe le altre virtù. Se saremo costretti a prendere delle buone abitudini,pensa Aristotele,entro un certo tempo finiremo col trovar piacere nel compiere buone azioni [...]"

Si può essere così idioti? Aristotele precursore del comportamentismo ingenuo?
Proseguiamo:
"Veniamo ora alla famosa dottrina del giusto mezzo. La virtù è sempre una via di mezzo tra due estremi,ciascuno dei quali è un vizio. Il coraggio sta fra la codardia e la temerarietà; la liberalità, tra la prodigalità e l'avarizia; l'amor proprio, tra la vanità e l'umiltà; la prontezza di spirito tra la buffoneria e la grossolanità; la modestia tra la ritrosìa e la sfacciataggine; Alcune virtù non sembrano rientrare in questo schema: per esempio la sincerità. Aristotele dice che questa è una via di mezzo tra la millanteria e la falsa modestia (1108a), ma questo può applicarsi solo intorno a se stessi. Non vedo come la sincerità in senso più ampio possa rientrare nello schema. Ci fu una volta un sindaco che aveva adottato la dottrina aristotelica;al termine delle sue funzioni fece un discorso,dicendo che si era comportato in modo da conservare la stretta via tra la parzialità da un lato e l'imparzialità dall'altro. Il considerare la sincerità come giusto mezzo sembra poco meno che assurdo. Aristotele, nelle questioni morali,si mantiene sempre sulla linea di quelle che ai suoi tempi erano le opinioni convenzionali. Su qualche punto esse differiscono da quelle dei nostri giorni,specia quando vi fa capolino qualche forma di aristocraticismo. Noi pensiamo che che gli esseri umani,almeno in linea etica,abbiano tutti uguali diritti,e che la giustizia implichi non l'uguaglianza,ma una giusta proporzione che solo qualche volta è uguaglianza [sic] (1131b). La giustizia d'un padrone e d'un padre è cosa differente da quella d'un concittadino perché un figlio o uno schiavo sono di proprietà,e non può esserci ingiustizia verso ciò che si possiede (1134b). Per quanto riguarda gli schiavi ,però,va fatta una piccola correzione a questa dottrina:è possibile per un uomo essere amico del proprio schiavo? Non c'è nulla di comune tra le due parti; lo schiavo è utensile vivente..in quanto schiavo,quindi ,non gli si può essere amici. Ma in quanto uomo sì;perché può sempre esistere un rapporto tra un uomo e un altro,rapporto che può derivare dalle leggi o da un accordo; si può avere quindi anche dell'amicizia verso di lui, in quanto uomo (1161b)"

Chiaro il concetto? Sì, Aristotele è degno di essere definito l'idiota greco. Ma voglio chiudere con una osservazione interessante. Qualcuno potrebbe obiettare sul processo cui sottopongo l'opera aristotelica poiché fondamentalmente non sincronico (ovvero sganciato dal suo contesto). Ad una tale obiezione io rispondo diacronicamente: sono nato nel 1971 e non al tempo dell'idiota greco; non intendo caricarmi dei vincoli del passato; il processo - con conseguente condanna dell'ideologia - lo svolgo nel mio tempo. Non comprendo come tanti propendano per il criterio contestuale sincronico a meno di non essere affascinati o peggio innamorati del personaggio (e a ben vedere, ve ne sono tanti in giro ma questa è un'altra storia). Se proprio i sincronici dovessero sputar sentenze velenose lasciatemi quest'ultima argomentazione. Aristotele disse che la velocità di caduta di un corpo è proporzionale al suo peso. Questo è stato dimostrato falso come conseguenza delle leggi di Newton che quasi ogni studente conosce (in teoria, scusate il doppio senso); e già avverto il disgusto: ma Newton è assai più tardo dell'idiota greco! E allora al diavolo (di Maxwell? ironia per gli eruditi lettori..) Newton. Consideriamo questa semplice esperienza. Prendiamo un foglio di carta oppure una striscia sufficientemente ampia di stoffa (cose disponibili all'epoca dell'idiota schiavo permettendo). Il peso (ovvero la massa anche se questo concetto era oscuro all'idiota) non varia se modifichiamo la forma del foglio di carta o della stoffa (ad esempio facendone una palla): questo sì era noto anche ad Aristotele. Facciamo ora cadere la stoffa non appallottolata e poi ripetiamo la caduta dopo l'appallottolamento. Nel primo caso la velocità sarà minore. Niente equazioni differenziali nè legge di inerzia. Ancor peggio un aquilone o un aeroplano di carta (qualcosa di appuntito per intenderci). Tutte esperienze per forza note ad Aristotele (qualche dubbio?). Allora perché l'idiota greco non si pente di quello che scrive? Pensateci su.

Guarda guarda chi c'è

L'inserto D di repubblica ospita lettere sui più svariati temi. Curioso trovarci qualcuno con cui le roventi dispute politiche sono quasi ad un punto morto. Pazienza. Questa me la dovrai spiegare mattia..questo tuo lontano aprile 2006..

Rubriche

Lettere

Anima e corpo o corpo e mondo?

Scrive Nietzsche: "Disprezzavano il corpo: non lo prendevano in considerazione, anzi lo trattavano come un nemico. Il loro delirio era credere che si potesse portare in giro un''anima bella' in un aborto di cadavere"
Risponde Umberto Galimberti

Quando ti senti male nel tuo corpo, quando disprezzi i tuoi difetti fisici, quando ne hai una percezione così fastidiosa e negativa, allora ti senti anche indegno e impossibilitato a godere i piaceri e raggiungere i successi possibili nella vita. Persino quelli intellettuali. Sentirsi bene nel corpo dona fiducia in se stessi anche per tutto quello che riguarda l'interiorità, sia emotiva che intellettuale, almeno in buona misura; non è valido invece l'inverso. Il disprezzo del corpo dev'essere stato un misero espediente di chi già si sentiva molto debole e difettoso in esso, e per sentire meno questa sua debolezza o per rivalersi su di essa si è creato mentalmente una cesura tra il suo corpo e la sua mente, rifugiandosi in quest'ultima. Ma questa cesura è illusoria. Non è un caso che il corpo sia il primo oggetto di invidia. Si fanno i salti mortali e ci si arrampica sugli specchi per convincersi che il corpo, che la fisicità, non conti nulla o conti assai meno di quanto sembri; in tutto ciò non si fa che creare dei narcotici per renderci insensibili alle nostre e alle altrui imperfezioni e storture, o per assuefarci a esse, quando naturalmente le percepiremmo con immenso disagio e fastidio. Mattia Danesi, Voltana (Ra)



 Sommerso dai segni con cui la scienza, l'economia, la religione, la psicoanalisi, la sociologia di volta in volta l'hanno connotato, il corpo è stato vissuto, in conformità alla logica e alla struttura dei vari saperi, come organismo da sanare, come forza-lavoro da impiegare, come carne da redimere, come inconscio da liberare, come supporto di segni da trasmettere. Mai l'impronta della sua vita che, alla periferia dei codici, continua a passare inavvertita. Da centro di irradiazione simbolica nelle comunità primitive, il corpo è diventato in Occidente il negativo di ogni valore che il sapere, con la fedele complicità del potere, è andato accumulando. Dalla "follia del corpo" di Platone alla "maledizione della carne" nella religione biblica, dalla "lacerazione" cartesiana della sua unità alla sua "anatomia" a opera della scienza, il corpo vede concludersi la sua storia con la sua riduzione a "forza-lavoro" nell'economia e a "manichino" nella rappresentazione sociale. Ma queste mie considerazioni non sono un preludio alla "liberazione" del corpo, al giorno in cui gli verrà restituita la sua espressione contro la repressione del sistema. Ritengo infatti che tale liberazione appartenga a una storia passata e sia in ritardo di una rivoluzione, come il Messia di Kafka che viene l'indomani del Giudizio Finale, quando non è più necessario, quasi un effetto di realtà ritardata, per salvare dei corpi che non hanno mai avuto bisogno né del Messia né della rivoluzione per accadere. Inoltre questo sistema di "liberazione", a cui dà man forte tutta quella letteratura che ormai si spreca sul corpo e sul desiderio, è oltremodo insidioso, perché finisce col mobilitare, e non per liberare, le potenzialità espressive del corpo (che già da tempo sono state confiscate dall'"anima", dallo "spirito" o dai "valori"), per un'emancipazione programmata, in vista di uno sfruttamento più razionale e sistematico. E così paradossalmente questa "scoperta del corpo", che si vuole presentare come premessa per la sua liberazione, è utilizzata per liquidarlo definitivamente nell'ingranaggio del sistema e della sua produzione che, non contenta di sfruttare del corpo la sua forza-lavoro, ne sfrutta anche la forza del desiderio, allucinandolo con quegli ideali di bellezza, giovinezza, salute, sessualità, che sono poi i nuovi valori da vendere. Mobilitato dal sistema nel processo di appetizione-soddisfazione, a cui tutti i moti di "liberazione del corpo" danno il loro inconsapevole contributo, il corpo diventa quella istanza gloriosa, quel santuario ideologico in cui si consumano gli ultimi resti della sua alienazione. Tutte le religioni della spontaneità, della libertà, della creatività, della sessualità grondano del peso del produttivismo e della logica dei valori, che possono crescere e accumularsi solo se il corpo si lascia sedurre e abbandona il suo naturale campo di gioco che è il mondo. Non l'anima e il corpo, ma il corpo e il mondo, in quell'originaria co-esposizione in cui è il primitivo senso del mondo, il suo scaturire immotivato, a cui il corpo, dopo il primo ingenuo contatto, cerca di dar senso. Nel mondo ogni mio atto rivela che la mia esistenza è corporea e che il corpo è la modalità del mio apparire. Questo organismo, questa realtà carnale, i tratti di questo viso, il senso di questa parola portata da questa voce non sono le espressioni esteriori di una presunta anima, ma sono io, così come il mio volto non è un'immagine di me, ma sono io stesso. Nel corpo, infatti, c'è perfetta identità tra essere e apparire, e accettare questa identità è la prima condizione dell'equilibrio. Non esiste un pensiero al di fuori della parola che lo esprima, perché, solo abitando il mondo della parola, il pensiero può risvegliarsi e farsi parola. Allo stesso modo non esiste un uomo al di fuori del suo corpo, perché il suo corpo è lui stesso nella realizzazione della sua esistenza. Se non si accetta la totalità di questa presenza è impossibile accedere alla comprensione della realtà umana per come il rapporto quotidiano col mondo ce la rivela.


Cambiato idea?

25 agosto 2009. Questo per chi avesse dubbi sulla definizione di stato di diritto.

ROMA - E' finita la libertà per il quarantenne che nei giorni scorsi ha aggredito una coppia gay accoltellando uno dei due ragazzi all'uscita del Gay Village di Roma. Alessandro Sardelli, soprannominato "Svastichella", identificato subito dopo l'aggressione, era stato semplicemente denunciato a piede libero per tentato omicidio. Scelta che aveva suscitato aspre critiche. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno aveva parlato di decisione "inopportuna" e le associazioni gay avevano gridato allo scandalo.

Le pressioni delle istituzioni sulla magistratura hanno fatto cambiare idea alla Procura che ieri ha chiesto il fermo dell'aggressore. Domanda oggi accolta dal giudice per le indagini preliminari: "Quell'uomo - ha scritto il gip - è socialmente pericoloso". "Svastichella" è stato arrestato nella sua abitazione nella zona del Laurentino, alla periferia di Roma, e portato in carcere.

"Non posso che esprimere soddisfazione - ha commentato il sindaco, che oggi incontrerà le associazioni gay - è un passo importante per restituire fiducia alla cittadinanza su una vicenda inaccettabile".

Quarant'anni, con precedenti per spaccio di droga, l'aggressore percepisce una pensione di invalidità per seminfermità mentale. Insieme a lui, quella notte al Gay Village, c'era un complice. "Sì, c'era un altro col giustiziere" ammettono in procura. Sembra che sappiano già chi è, o ci siano vicini. "Ci saranno novità, ma tra qualche giorno", dicono.

giovedì 14 giugno 2012

L'ignoranza devastante impera..

Oggi pomeriggio alla ricerca di un pezzo di ricambio per la bike di mio fratello. Si tratta di un piccolo cuscinetto per l'articolazione del movimento del pedale. Primo negozio, artigiano della bicicletta. Scusi vorrei il cuscinetto per l'articolazione del pedale. E lui: cuscinetto a sfera? E mi mostra un altro pezzo. No ribatto io,non è questo. E' un piccolo cuscinetto a sfera che si inserisce sull'albero. E lui: ma allora è altro che desidera! E io: le avevo detto il pedale non il braccio a cui il pedale va ancorato. Alla fine mi consiglia un altro negozio. Poco prima un altro cliente si lagnava per il contachilometri della sua bici, a parer suo difettoso. L'artigiano lo esamina e risponde: funziona perfettamente. E il vecchietto: non va invece. E l'artigiano: ha controllato il magnete sulle razze della ruota? E il vecchietto: quale magnete? Ha sempre funzionato! E l'artigiano: non può funzionare senza (della serie un po' di fisica elementare serve saperla). Alla fine il vecchietto se ne va proponendosi di verificare ancora una volta, piuttosto perplesso. Poco prima ero stato in ferramenta dove addirittura mi avevano contestato l'esistenza del cuscinetto. Per loro semplicemente non esisteva. Non so cosa pensare. L'ultimo negozio visitato - grande rivendita espressamente rivolta ai ciclisti professionisti - si comporta più o meno come l'artigiano salvo consigliarmi l'acquisto del pedale nuovo dopo avermi esortato a portarmi quello vecchio per "darci una occhiata" (ma quale occhiata se il pezzo difettoso è già stato individuato?). Alla fine tornando a casa imparo che mio fratello se l'è procurato in un negozio poco lontano specializzato in idrodinamica. Morale: nell'epoca del consumo troppo spesso si pensa ad imbacuccare la gente. E io non seguo la via del vivere e lascia vivere, non sarebbe compatibile con il mio essere matematico e insegnante. Trovate voi la soluzione. E sia.

La verità fa male

Oggi pomeriggio ho appreso la verità sui comportamenti deliranti di un altro mio amico a cui avevo prestato un po' di denaro. La mia ingenuità s'è infranta di fronte al nudo empirico, fatto trafelato nel diritto dell'anima. Se voglio continuare ad aiutarlo dovrò necessariamente utilizzare bastone e carota. Peccato però, poteva finire pure diversamente.

martedì 12 giugno 2012

A proposito del vomiting

Estratto dal sito medicitalia.it


"Tuttavia, se il vomito può costituire un mezzo per riparare all'abbuffata nel disturbo bulimico, ossia una delle tante condotte d'eliminazione appena descritte, l'atto del vomitare può trasformarsi nel tempo in un disturbo indipendente, dotato di caratteristiche peculiari (Nardone & altri, 1999).
In altre parole il disturbo bulimico costituirebbe soltanto un punto di partenza, da cui emergerebbe quello da vomiting. Mentre il vomito autoindotto nella bulimia classica costituisce un rimedio riparatorio all'abuso di cibo, la vomitatrice vomita perché ha imparato ad associare piacere a questo comportamento. Si tratta perciò di una vera e propria perversione, ossia di un comportamento anomalo e inusuale - di per sé sgradevole - che diventa piacevole. L'essere basato sul piacere rende questo disturbo di non facile eliminazione, come per qualunque altro disturbo basato su una dipendenza.
All'inizio per queste pazienti il vomito è una soluzione per non ingrassare. Continuando nella pratica, però, la sequenza del mangiare-vomitare si trasforma poco a poco in un rituale sempre più piacevole, fino a diventare nell'arco di qualche mese il massimo dei piaceri, cui non si riesce più a rinunciare.
Quando la sindrome da vomito si è instaurata, il problema non è più il controllo del peso ma il controllo della compulsione al piacere: mentre nell'anoressia e nella bulimia il ciclo mangiare-vomitare rappresentava una tentata soluzione, nel vomiting esso diventa il problema stesso e trova nel piacere il motivo della sua persistenza (Milanese, 2004). Il vomiting costituirebbe attualmente il più diffuso fra i disturbi alimentari (Costin, 1996). Queste pazienti ricavano un piacere così grande dal vomitare che è possibile parlare, allegoricamente, di "amante segreto". Quando quest'immagine è presentata alle stesse pazienti in terapia, la reazione è spesso di vergogna e imbarazzo, come se il loro piccolo segreto fosse stato scoperto e messo a nudo. Infatti, la vomitatrice risente spesso di una vita relazionale e affettiva appiattita o inesistente e il suo disturbo è tutto ciò che le resta per continuare a provare ancora un po' di piacere.
Alcune pazienti riferiscono di essere arrivate al punto di procurarsi il vomito anche dieci volte al giorno. Si può immaginare, tra l'altro, il danno economico arrecato alla famiglia a causa della necessità di procurarsi quantità di cibo sempre più ingenti.
Psicoterapia del vomiting
L'implicazione più importante del classificare il vomiting come disturbo autonomo sta nella diversa direzione che il trattamento terapeutico dovrà prendere rispetto alla bulimia classicamente definita. In particolare l'uso del cibo qui è incidentale, nel senso che la paziente se ne serve solo come un mezzo per vomitare e soddisfare in tal modo quel piacere, non quello di mangiare.
Sarebbe quindi inefficace trattare la vomitatrice allo stesso modo della bulimica, ossia ragionando in termini di cibo e alimentazione. Anzi, a rigor di termini non sarebbe neanche scorretto dire che il vomiting non è nemmeno un disturbo d'alimentazione: molte vomitatrici sono ragazze avvenenti e spesso neanche in sovrappeso. Secondo il modello psicoterapeutico breve strategico la terapia dovrà concentrarsi innanzitutto nell'eliminazione della compulsione, e successivamente nell'aiutare la persona a ricostruirsi una vita affettiva e relazionale soddisfacente. Questa seconda fase è delicata e impegnativa sia per la paziente che per il terapeuta ed entrambi debbono fare attenzione a che il desiderio di procurarsi piacere non prenda nuove e inaspettate direzioni, altrettanto disfunzionali, ma che sia invece riorientato in maniera appropriata."

lunedì 11 giugno 2012

Socrate? Fuori di testa

Non credevo di apprendere qualcosa di nuovo da un inserto di quotidiano. Ebbene sì, nella biblioteca di repubblica maurizio ferraris racconta Socrate,Platone,Aristotele e la scuola di atene e scrive:

"Indagare se stessi,interrogare se stessi,conoscere se stessi:Socrate sosteneva di sentire la voce di un "demone" che gli parlava,come una sorta di allucinazione uditiva. Quel demone gli diceva se si comportava male e pare appunto che non gli abbia detto niente quando si difese e poi decise di morire:questo quindi lascerebbe supporre che Socrate avesse preso la decisione giusta. Si è cercato di capire cosa fosse questo demone che parlava nelle orecchie di Socrate:qualcuno lo ha spiegato dicendo che i greci (e così anche in epoche più arcaiche,all'epoca di Omero per esempio), avevano ancoa una mente bicamerale,cioè la comunicazione tra i due emisferi del cervello non era ancora selezionata come lo è per noi,e dunque poteva sembrare che qualcuno parlasse dall'esterno,mentre si trattava della coscienza interna. Non mi addentro in queste ipotesi [sic] ,però legata in qualche modo all'ide della mente bicamerale c'è una esperienza molto comune a cui Socrate dava importanza:l'esperienza del dejà vu [...]" (pagg.18-19)

La teoria della "mente bicamerale" non ha statuto scientifico solido per quanto ne sappia (se così non è fatemi sapere). Oggi se qualcuno dice di sentire un demone che gli parla - un'allucinazione uditiva che suggerisce magari in dolby surround una mirabilissima opera filosofica- semplicemente gli viene raccomandata una visita neurologica con vivace consiglio d'un seguito in ambulatorio psichiatrico. La mia teoria è semplice: dopo aver letto le teorie di Socrate (trasmesse da Platone, sia ben chiaro - il suo demone dov'è finito?) posso proporre con relativa tranquillità una diagnosi di psicosi allucinatoria. E la sua opera?  Dovrei torturare il demone - magari farlo sballare un po'. Per quanto riguarda Aristotele - controparte di Platone - mi trovo perfettamente d'accordo con il giudizio espresso da Russell nel suo compendio divulgativo di storia della filosofia: "Quando leggiamo qualche filosofo di rilievo,ma soprattutto quando leggiamo Aristotele,è necessario condurre il proprio studio in due modi:in rapporto ai predecessori del pensatore e in rapporto ai suoi successori. Sotto il primo aspetto,i meriti di Aristotele sono enormi; sotto il secondo,i suoi demeriti sono altrettanto enormi. Quanto ai suoi demeriti, però,i suoi successori sono più responsabili di lui. [...] Concludo che le dottrine aristoteliche di cui ci siamo occupati in questo capitolo [la logica di Aristotele] sono interamente false,ad eccezione della teoria formale del sillogismo,che non ha però importanza alcuna. Qualsiasi persona che oggi desideri imparare la logica perderà il suo tempo leggendo Aristotele o i suoi discepoli. Nondimeno,gli scritti logici di Aristotele dimostrano un'abilità somma,e sarebbe stato utile all'umanità se fossero apparsi in un'epoca in cui l'originalità intellettuale fosse stata ancora attiva. Sfortunatamente apparvero proprio alla fine del periodo creativo del pensiero greco,e quindi furono accettati come dogmi. Al tempo in cui l'originalità logica riprese vita,un regno durato duemila anni aveva reso assai difficile detronizzare Aristotele. In tutta l'epoca moderna,quasi ogni progresso nella scienza,nella logica o nella filosofia,si è dovuto compiere sotto forma di opposizione alle teorie di Aristotele"

"

venerdì 8 giugno 2012

A proposito di Lecaldano

Estratto da una recensione di un testo del filosofo E. Lecaldano.

Lecaldano, Eugenio, Un'etica senza Dio.
Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. XIV + 110, 12,00 euro, ISBN 88-420-8000-4.

Recensione di Ivo Silvestro 2/5/2007

"[...] Innanzitutto non è possibile dimostrare l'esistenza di Dio: ogni etica divina si ritroverebbe pertanto infondata.Una siffatta etica non può inoltre essere universale: essa non si applicherebbe ad atei ed agnostici e, qualora si volesse partire da una religione rivelata, ai credenti di altre confessioni.
Un comportamento etico non può essere eterodiretto, ma deve essere liberamente e autonomamente scelto dal soggetto: l'etica non può quindi ridursi all'obbedienza di comandamenti di origine divina. L'etica non può nemmeno fondarsi sulle leggi di natura, intendendo la natura come manifestazione o progetto di Dio: la natura così concepita semplicemente non esiste, si tratta soltanto di una giustificazione a posteriori di scelte etiche preconcette.
Infine, un'etica dedotta da Dio tende a volersi applicare, o meglio imporre, a tutti, ignorando così le differenze individuali e, soprattutto, la irrinunciabile differenza tra legge e morale. Alcuni argomenti di Lecaldano lasciano perplessi. Prendiamo, ad esempio, la non universalità dell'etica divina: se Lecaldano intende sostenere che l'etica di un credente non può essere la stessa di un ateo (non devoto), non si capisce dove stia il problema, dal momento che la morale non è la legge e non deve valere per tutti i membri di una certa comunità; se invece occorre intendere questa non universalità nel senso che il credente non considererà l'ateo un soggetto degno di attenzione morale, allora la tesi di Lecaldano è semplicemente falsa. In generale, a non convincere non sono tanto gli argomenti, sostanzialmente corretti, ma l'immagine del credente sostenitore di una etica fondata su Dio, o comunque a lui riferita, tratteggiato in maniera quasi caricaturale, come viene almeno in parte riconosciuto (p. 27). Lecaldano si è indubbiamente ispirato alla realtà per queste caricature: gli esempi, purtroppo, non mancano ed è bene argomentare contro simili schemi mentali che dovrebbero essere superati da tempo. Tuttavia, la possibilità che vi sia qualcosa oltre queste caricature non viene presa in considerazione: per Lecaldano un'etica con Dio non può che ridursi all'obbedienza per paura dell'eterno castigo, privando i discorsi sul bene e sul male di qualsiasi autonomia. Eppure gli esempi contrari non mancano. Si pensi, ad esempio, alla condanna, da parte della chiesa cattolica, del volontarismo, che riconduce appunto alla libera volontà di Dio la definizione di bene e di male, arrivando a sostenere la possibilità che Dio avrebbe potuto anche far sì che quello che noi chiamiamo male sia bene e viceversa. [...] La responsabilità morale ha due radici: l'autonomia e la libertà. Lecaldano accoglie una interpretazione minimale ed empirica di questi due concetti: la libertà è da intendersi semplicemente come «assenza di qualsiasi costrizione o coercizione esterna nella scelta delle azioni da compiere» (p. 33).
Una definizione più vicina a Hume e a Mill che a Kant, la cui prospettiva, basata sul libero arbitrio e sull'indifferenza rispetto a emozioni e ricompense, viene definita «spiritualistica e criptoreligiosa» (p. 33). La moralità di una azione è quindi indipendente dal movente, che può anche essere di natura sentimentale.
L'etica «è una realtà da spiegare, e non già da fondare» (p. 45). Per Lecaldano l'etica è radicata nella natura dell'uomo: «la capacità degli esseri umani di farsi guidare da distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso è radicata nella loro natura biologica» (p. 44). La natura alla quale si riferisce Lecaldano è, appunto, quella biologica: non è la natura statica e vincolante dell'etica divina. Una simile etica naturale si inserisce coerentemente nella «concezione naturalistica e secolarizzata dell'universo nel suo insieme» (p. 37) che, grazie all'evoluzionismo darwiniano e senza bisogno di creatori e progettisti, può spiegare l'origine della vita e dell'uomo. La morale, questa innata capacità umana, è dunque anch'essa il frutto della selezione naturale. Lecaldano sottolinea in proposito il ruolo dell'emozione: i sentimenti che accompagnano i comportamenti virtuosi e viziosi, e in particolar modo la simpatia verso le emozioni altrui, possono spiegare, ad esempio, l'ampia diffusione di regole morali simili. Con questo riferimento all'emotività si spiega la già ricordata critica alla concezione kantiana di autonomia morale, che esclude appunto i sentimenti dai legittimi moventi morali. Un'etica senza Dio non può ovviamente ridursi all'emotività: la riflessione razionale ha anch'essa un ruolo fondamentale per i nostri giudizi morali, giudizi che saranno sempre individuali. Ciò implica una sorta di pluralismo etico: «un'etica senza Dio dovrà ammettere l'esistenza di un grande numero di persone moralmente responsabili e, data la loro autonomia e libertà, dovrà dare per scontato che vi sia una grande diversità nei modi in cui queste persone realizzeranno la propria ricerca di una condotta moralmente responsabile» (p. 34). Un'etica senza Dio non potrà quindi possedere quei caratteri di assolutezza, eternità e universalità tipici dei principi morali derivati dai comandi eteronomi di Dio (p. 49). Lecaldano prospetta un'etica vicina all'effettiva esperienza dell'uomo, basata innanzitutto sul rispetto dell'individuo. È proprio grazie al concreto riconoscimento delle esigenze dell'individuo, della sua storia e della sua cultura, che è possibile attuare la netta distinzione tra etica e legge: la sanzione giuridica non è uno strumento di controllo delle condotte personali. In conclusione, la distinzione tra un'etica senza Dio e un'etica basata su Dio si gioca principalmente su tre aspetti di discontinuità: «la rinuncia alla ricerca di valori comuni e convergenti come mezzo per la realizzazione di un progresso morale; la sottodeterminazione di valori sostantivi come la solidarietà e la carità che potrebbero segnare la continuità tra etiche del passato e del presente; l'abbandono di una riflessione morale con pretese fondazionali a favore di un'elaborazione che mette in secondo piano l'obiettivo di riuscire a identificare la soluzione giusta e buona da raccomandare a tutti» (p. 54). Privare l'etica di un fondamento assoluto per consegnarla così alla concreta esperienza individuale è una mossa convincente. Non si capisce tuttavia la necessità di sostituire alla fondazione una spiegazione: l'etica è una realtà innanzitutto da migliorare e da adattare al contesto, la sua naturalizzazione non sembra aggiungere nulla al discorso che risulterebbe completo anche senza il riferimento all'evoluzionismo. Probabilmente l'intenzione di Lecaldano è di sottolineare la distinzione tra l'etica senza Dio e l'etica con Dio, evidenziando l'autonomia e la coerenza di un punto di vista ateo sull'uomo e sull'universo. Un'altra perplessità è dovuta alla sostanziale continuità che Lecaldano sembra attribuire a sentimenti e riflessioni razionali, quasi che le seconde debbano semplicemente migliorare e portare a compimento le prime. Eppure vi sono emozioni che si allontanano da quei principi etici generali, come il rispetto per l'altro, che Lecaldano accoglie come base di un'etica senza Dio. Alcune ricerche hanno ad esempio mostrato come risulti più appagante rinunciare a un proprio vantaggio, o addirittura accettare uno svantaggio, pur di infliggere un danno a un'altra persona riconosciuta come estranea, non appartenente cioè al proprio gruppo. In casi come questo la riflessione razionale deve opporsi alla risposta emozionale; purtroppo i contorni di questa opposizione non vengono neppure accennati da Lecaldano. [...]"

Personalmente non comprendo come si possano avanzare alcune ardite speculazioni senza uno straccio di argomentazione sia essa empirica,scientifica,logica o semplicemente convenzionale o relativista. Come può infatti Lecaldano affermare che l'etica «è una realtà da spiegare, e non già da fondare»  «la capacità degli esseri umani di farsi guidare da distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso è radicata nella loro natura biologica» ? Razionalisti sì, riduzionisti (biologici) no. Il nonnetto filosofo è ancora in vita: provvederò ad interrogarlo di persona appena possibile.

mercoledì 6 giugno 2012

Lei? Tu..

A proposito del Lei. Perché il conformismo dei grandi arriva a forgiare la lingua per separare le persone? Vi siete mai chiesti perché alcune persone non usano mai il Lei oppure lo trovano inutile,freddo e incosciente? Io non sapevo quale fosse la reale definizione del suo uso fra i grandi bene educati. Curiosa educazione. Poi un certo Augias - sì proprio lui - in un suo intervento se ne è uscito dicendo che il Lei servirebbe per separare le distanze aumentando la tensione emotiva tra i due dialoganti. Una stronzata universale. Invece di favorire il dialogo aprendosi si inventono porcherie lessicali per chiuderlo o peggio per chiudersi a riccio. Decisamente non approvo, sono troppo bambino matematico e davvero non riesco a calarmi in questi panni metodologici. Se proprio devo - e non posso fare altrimenti - utilizzo il voi in chiave romantica. Siete avvisati ^^

Io, simo e tommy

Ho rivisto simo. E anche tommy. Tommy fa l'accademia delle belle arti e disegna con un suo particolarissimo stile che ricorda il dark melanconico di nightmare before christmas. Ci siamo un po' spaccati con birra e vino ed avevamo in progetto un'escursione notturna nei boschi poi rinviata. Rivedere simo mi ha fatto un sacco male dentro - internal pain come avrebbe dichiarato lui stesso ché è stato mollato da nicole - ma sono riuscito a sopravvivere anche se poi non sono mancate le lacrime nel buio della mia stanza. Vorrei che tutto tornasse come tre anni fa. Fa così male dentro ché se ne è andato un pezzo di mondo durato sette anni. Io non mi arrenderò mai al mondo dentro la boccia dei pesci - per dirla con le parole di paloma. Sono oggettivamente un soggetto particolare, culturalmente borderline e particolarmente empatico - quindi condannato a metabolizzare una certa sofferenza esogena. Pazienza. Almeno c'è una ragazza che mi vuole bene davvero. Incancellabile Lu ^^. Simo tv1kdb. Qui sotto foto di simo e tommy e alcune delle sue tavole.




venerdì 1 giugno 2012

delirio di onnipotenza

Molti dei miei amici hanno gusti un po' particolari. Uno di questi ha il fermo proposito di conquistare il mondo per poterlo - a modo suo - ordinare garantendo così la felicità dell'intero genere umano (ma potrebbe limitare il progetto anche alla sola povera Italia). Le nostre discussioni sono ad un punto morto. Egli si sente il nuovo duce italiano, la nuova luce. Le obiezioni non servono più. Ecco qui un estratto di uno dei suoi "frammenti" oggetto di filosofiche notturne accese reciproche questionature. Ai miei lettori il giudizio finale.

"La natura non può essere corretta dall'esperienza. L'esperienza può essere corretta dalla natura. Grazie alla memoria,ossia alla persistenza del male,noi possiamo agire su di esso,grazi alla persistenza del bene,ossia alla condizione di maggior vigore pervenutaci da altre esperienze di segno positivo:giacché solo queste forze collettive possono supplire a quella che originariamente era una debolezza che,scontrandosi con l'ambiente esterno,è stata insufficiente a plasmarlo secondo la nostra esigenza e dunque ha prodotto una esperienza negativa. Noi non possiamo ricordare quello che ci è riuscito perfettamente , poiché esso non è più presente in noi come elemento da eliminare, ma solo come fisicità da utilizzare:possiamo però ripetere quell'azione perché il nostro corpo mantiene lo stesso livello di virtù e dunque è saggio, se non si è indebolito nel frattmpo ed è dunque divenuto stolto. Esso ha dimenticato la lezione,ossia ha perso vigore nei confronti di asperità esterne che invece si sono ricomposte nella loro forma ed energia dopo che noi le avevamo precedentemente sconfitte. In questo caso noi non ci ricordiamo di quando eravamo forti:perché non lo siamo più, e non si può sentire quello che non si è,ovvero quello che non si fa. Ricordare una esperienza negativa è altrettanto impossibile che ricordarne una negativa [sic]. Semplicemente, noi le ripetiamo fin dove l'elemento esterno è ancora il medesimo. Se vi sono diffrenze nell'oggetto o nel soggetto, non è la stessa esperienza e noi non la "confrontiamo" con la vecchia, perché un confronto è una terza esperienza, un'immagine che ne contiene due,osservata da un altro punto di vista che non potrà mai comprendere tute le peculiarità delle singole immagini ma solo alcuni tratti fondamentali che ne consentano la relazione,e sicuramente non possiamo vivere come due soggetti e quindi assumere contemporaneamente due punti di vista confrontando due immagini l'ultima delle quali stiamo ancora sedimentando,così come è impossibile svolgere operazioni di sistema su un programma ancora in funzione. [...] Tutto quello che subisci per ragioni contingenti,tu non lo meriti. Meriti invece tutto quello che subisci per ragioni intrinseche:nella purezza [sic] infatti ognuno può aver soltanto ciò che merita,in quanto nessuna compagine di soggetti deboli si schiera per sottometterne uno forte, il che rappresenta l'ingiustizia dominante le società promiscue,e chiunque venga sottomesso raggiunge quindi il suo luogo naturale,nel quale egli stesso non trova nulla di ingiusto [sic] [...]"

Una sottomissione come stato di natura? Si avverte il verme inquieto totalitario.
Sognare in ogni caso è una libertà - seppure totalitaria - che possiamo ben augurare al mio amico. Basta che i sogni non divengano guerre e sottomissione giusnaturalista. E sia.


eleganza del riccio

Post sofferto. Poche ore per ascoltare il romanzo di Muriel Barbery (il cui blog abbandonato si trova ancora all'indirizzo muriel.barbery.net) l'eleganza del riccio, raccontato dalle voci di Anna Bonaiuto e Alba Rohrwacher. E' stata una delusione salvata solamente dalla voce sensuale della Rohrwacher a supporto del mio istinto infantile di ascolta favole. Il primo e gli ultimi due capitoli sono quanto basta per intingersi nel sugo di tutta la storia (e ancora una volta constato come il mio test empirico sia andato a buon fine). La protagonista Paloma aspirante suicida (e quindi degna della mia attenzione) si proclama a più riprese eccezionalmente dotata ma finisce con il riflettere stereotipi culturali assorbiti dall'autrice (la super dotazione d'intelligenza mi ha ricordato una persona che per conquistarsi il favore proclama d'aver l'intelligenza certificata. Diritto nella boccia dei pesci direbbe forse Paloma?) che essendo laureata in filosofia ha ben pensato di infarcire il romanzo di tesi fra loro contraddittorie - già l'idea di una portinaia "che legge l'ideologia tedesca" esiliatasi volontariamente salvo poi pentirsi in punto di morte è un paralogismo emotico di sicuro effetto per chi anche latamente si riconosce nella categoria. Paloma non ha mai preso in considerazione l'idea di mantenersi distaccata dalla vita dei grandi poiché anche lei desidera "crescere" sebbene il destino inevitabile sembri essere la boccia dei pesci evitabile solo attraverso il suicidio. Si tace saggiamente sul futuro incerto di Paloma; le ultime parole sono un insulto alla sua propria dotazione intellettiva: "[...] Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. E' come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale,una sospensione,un altrove in questo luogo,un sempre nel mai. Sì, è proprio così, un sempre nel mai. Non preoccuparti , Renée, non mi suiciderò e non darò fuoco proprio a un bel niente. Perché d'ora in poi, per te, andrò alla ricerca dei sempre nel mai. La bellezza qui, in questo mondo"

Molto politically correct. Indubbiamente si può essere felici in questo mondo allo stesso modo in cui si può essere infelici. Ma io non farò alcun compromesso.Nella boccia dei pesci non ci finisco senz'altro.