martedì 26 giugno 2012

Ancora sull'idiota greco:l'etica di Aristotele

Estratto dall'etica di Aristotele dalla storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell

"[...] Le opinioni di Aristotele intorno all'etica rappresentano,perlopiù,le opinioni prevalenti tra gli uomini colti e d'esperienza dei suoi tempi [...] Coloro che non scendono al di sotto nè si elevano al disopra el livello di cittadini onesti e beneducati troveranno nell'etica un'esposizione sistematica dei principi da cui essi sostengono che la loro condotta debba esser regolata. Chi cerca qualcosa di più sarà disilluso [...]. Il bene , dice Aristotele, è la felicità,che è un'attività dell'anima. Platone aveva ragione a dividere l'anima in due parti, una razionale e una irrazionale. La parte irrazionale si divide in vegetativa (che si trova anche nelle piante) e appetitiva (che si trova in tutti gli animali). L'appetito può entro certi limiti,essere razionale,quando i beni che cerca sono tali da ricevere l'approvazione della ragione. Questo è essenziale per la virtù perché in Aristotele solo la ragione è puramente contemplativa e non porta ,senza l'aiuto dell'appetito,all'attività pratica. Vi sono due tipi di virtù:intellettuale e morale corrispondenti alle due parti dell'anima. Le virtù intellettuali si apprendono attraverso l'insegnamento,le virtù attraverso le abitudini. E' compito del legislatore creare dei buoni cittadini incoraggiando i buoni costumi. Diveniamo giusti compiendo azioni giuste e lo stesso può dirsi pe le altre virtù. Se saremo costretti a prendere delle buone abitudini,pensa Aristotele,entro un certo tempo finiremo col trovar piacere nel compiere buone azioni [...]"

Si può essere così idioti? Aristotele precursore del comportamentismo ingenuo?
Proseguiamo:
"Veniamo ora alla famosa dottrina del giusto mezzo. La virtù è sempre una via di mezzo tra due estremi,ciascuno dei quali è un vizio. Il coraggio sta fra la codardia e la temerarietà; la liberalità, tra la prodigalità e l'avarizia; l'amor proprio, tra la vanità e l'umiltà; la prontezza di spirito tra la buffoneria e la grossolanità; la modestia tra la ritrosìa e la sfacciataggine; Alcune virtù non sembrano rientrare in questo schema: per esempio la sincerità. Aristotele dice che questa è una via di mezzo tra la millanteria e la falsa modestia (1108a), ma questo può applicarsi solo intorno a se stessi. Non vedo come la sincerità in senso più ampio possa rientrare nello schema. Ci fu una volta un sindaco che aveva adottato la dottrina aristotelica;al termine delle sue funzioni fece un discorso,dicendo che si era comportato in modo da conservare la stretta via tra la parzialità da un lato e l'imparzialità dall'altro. Il considerare la sincerità come giusto mezzo sembra poco meno che assurdo. Aristotele, nelle questioni morali,si mantiene sempre sulla linea di quelle che ai suoi tempi erano le opinioni convenzionali. Su qualche punto esse differiscono da quelle dei nostri giorni,specia quando vi fa capolino qualche forma di aristocraticismo. Noi pensiamo che che gli esseri umani,almeno in linea etica,abbiano tutti uguali diritti,e che la giustizia implichi non l'uguaglianza,ma una giusta proporzione che solo qualche volta è uguaglianza [sic] (1131b). La giustizia d'un padrone e d'un padre è cosa differente da quella d'un concittadino perché un figlio o uno schiavo sono di proprietà,e non può esserci ingiustizia verso ciò che si possiede (1134b). Per quanto riguarda gli schiavi ,però,va fatta una piccola correzione a questa dottrina:è possibile per un uomo essere amico del proprio schiavo? Non c'è nulla di comune tra le due parti; lo schiavo è utensile vivente..in quanto schiavo,quindi ,non gli si può essere amici. Ma in quanto uomo sì;perché può sempre esistere un rapporto tra un uomo e un altro,rapporto che può derivare dalle leggi o da un accordo; si può avere quindi anche dell'amicizia verso di lui, in quanto uomo (1161b)"

Chiaro il concetto? Sì, Aristotele è degno di essere definito l'idiota greco. Ma voglio chiudere con una osservazione interessante. Qualcuno potrebbe obiettare sul processo cui sottopongo l'opera aristotelica poiché fondamentalmente non sincronico (ovvero sganciato dal suo contesto). Ad una tale obiezione io rispondo diacronicamente: sono nato nel 1971 e non al tempo dell'idiota greco; non intendo caricarmi dei vincoli del passato; il processo - con conseguente condanna dell'ideologia - lo svolgo nel mio tempo. Non comprendo come tanti propendano per il criterio contestuale sincronico a meno di non essere affascinati o peggio innamorati del personaggio (e a ben vedere, ve ne sono tanti in giro ma questa è un'altra storia). Se proprio i sincronici dovessero sputar sentenze velenose lasciatemi quest'ultima argomentazione. Aristotele disse che la velocità di caduta di un corpo è proporzionale al suo peso. Questo è stato dimostrato falso come conseguenza delle leggi di Newton che quasi ogni studente conosce (in teoria, scusate il doppio senso); e già avverto il disgusto: ma Newton è assai più tardo dell'idiota greco! E allora al diavolo (di Maxwell? ironia per gli eruditi lettori..) Newton. Consideriamo questa semplice esperienza. Prendiamo un foglio di carta oppure una striscia sufficientemente ampia di stoffa (cose disponibili all'epoca dell'idiota schiavo permettendo). Il peso (ovvero la massa anche se questo concetto era oscuro all'idiota) non varia se modifichiamo la forma del foglio di carta o della stoffa (ad esempio facendone una palla): questo sì era noto anche ad Aristotele. Facciamo ora cadere la stoffa non appallottolata e poi ripetiamo la caduta dopo l'appallottolamento. Nel primo caso la velocità sarà minore. Niente equazioni differenziali nè legge di inerzia. Ancor peggio un aquilone o un aeroplano di carta (qualcosa di appuntito per intenderci). Tutte esperienze per forza note ad Aristotele (qualche dubbio?). Allora perché l'idiota greco non si pente di quello che scrive? Pensateci su.

Nessun commento:

Posta un commento