Estratto dal sito medicitalia.it
"Tuttavia, se il vomito può costituire un mezzo per riparare
all'abbuffata nel disturbo bulimico, ossia una delle tante condotte
d'eliminazione appena descritte, l'atto del vomitare può trasformarsi
nel tempo in un disturbo indipendente, dotato di caratteristiche peculiari (Nardone & altri, 1999).
In altre parole il disturbo bulimico costituirebbe soltanto un punto di partenza, da cui emergerebbe quello da vomiting. Mentre il vomito autoindotto nella bulimia classica costituisce un
rimedio riparatorio all'abuso di cibo, la vomitatrice vomita perché ha
imparato ad associare piacere a questo comportamento. Si tratta perciò di una vera e propria perversione,
ossia di un comportamento anomalo e inusuale - di per sé sgradevole -
che diventa piacevole. L'essere basato sul piacere rende questo
disturbo di non facile eliminazione, come per qualunque altro disturbo
basato su una dipendenza.
All'inizio per queste pazienti il vomito è una soluzione per non
ingrassare. Continuando nella pratica, però, la sequenza del
mangiare-vomitare si trasforma poco a poco in un rituale sempre più piacevole, fino a diventare nell'arco di qualche mese il massimo dei piaceri, cui non si riesce più a rinunciare.
Quando la sindrome da vomito si è instaurata, il problema non è più il controllo del peso ma il controllo della compulsione al piacere: mentre nell'anoressia e nella bulimia il ciclo mangiare-vomitare rappresentava una tentata soluzione, nel vomiting esso diventa il problema stesso e trova nel piacere il motivo della sua persistenza (Milanese, 2004). Il vomiting costituirebbe attualmente il più diffuso fra i disturbi alimentari (Costin, 1996). Queste pazienti ricavano un piacere così grande dal vomitare che è
possibile parlare, allegoricamente, di "amante segreto". Quando
quest'immagine è presentata alle stesse pazienti in terapia, la
reazione è spesso di vergogna e imbarazzo, come se il loro piccolo
segreto fosse stato scoperto e messo a nudo. Infatti, la vomitatrice
risente spesso di una vita relazionale e affettiva appiattita o inesistente e il suo disturbo è tutto ciò che le resta per continuare a provare ancora un po' di piacere.
Alcune pazienti riferiscono di essere arrivate al punto di
procurarsi il vomito anche dieci volte al giorno. Si può immaginare,
tra l'altro, il danno economico arrecato alla famiglia a causa della
necessità di procurarsi quantità di cibo sempre più ingenti.
Psicoterapia del vomiting
L'implicazione più importante del classificare il vomiting come
disturbo autonomo sta nella diversa direzione che il trattamento
terapeutico dovrà prendere rispetto alla bulimia classicamente
definita. In particolare l'uso del cibo qui è incidentale, nel senso
che la paziente se ne serve solo come un mezzo per vomitare e soddisfare in tal modo quel piacere, non quello di mangiare.
Sarebbe quindi inefficace trattare la vomitatrice allo stesso modo della bulimica,
ossia ragionando in termini di cibo e alimentazione. Anzi, a rigor di
termini non sarebbe neanche scorretto dire che il vomiting non è
nemmeno un disturbo d'alimentazione: molte vomitatrici sono ragazze
avvenenti e spesso neanche in sovrappeso. Secondo il modello psicoterapeutico breve strategico
la terapia dovrà concentrarsi innanzitutto nell'eliminazione della
compulsione, e successivamente nell'aiutare la persona a ricostruirsi una
vita affettiva e relazionale soddisfacente. Questa seconda fase è
delicata e impegnativa sia per la paziente che per il terapeuta ed
entrambi debbono fare attenzione a che il desiderio
di procurarsi piacere non prenda nuove e inaspettate direzioni,
altrettanto disfunzionali, ma che sia invece riorientato in maniera
appropriata."
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