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Anima e corpo o corpo e mondo?
Scrive Nietzsche: "Disprezzavano il corpo: non lo prendevano in considerazione, anzi lo trattavano come un nemico. Il loro delirio era credere che si potesse portare in giro un''anima bella' in un aborto di cadavere"
Risponde Umberto Galimberti
Sommerso dai segni con cui la scienza, l'economia, la religione, la psicoanalisi, la sociologia di volta in volta l'hanno connotato, il corpo è stato vissuto, in conformità alla logica e alla struttura dei vari saperi, come organismo da sanare, come forza-lavoro da impiegare, come carne da redimere, come inconscio da liberare, come supporto di segni da trasmettere. Mai l'impronta della sua vita che, alla periferia dei codici, continua a passare inavvertita. Da centro di irradiazione simbolica nelle comunità primitive, il corpo è diventato in Occidente il negativo di ogni valore che il sapere, con la fedele complicità del potere, è andato accumulando. Dalla "follia del corpo" di Platone alla "maledizione della carne" nella religione biblica, dalla "lacerazione" cartesiana della sua unità alla sua "anatomia" a opera della scienza, il corpo vede concludersi la sua storia con la sua riduzione a "forza-lavoro" nell'economia e a "manichino" nella rappresentazione sociale. Ma queste mie considerazioni non sono un preludio alla "liberazione" del corpo, al giorno in cui gli verrà restituita la sua espressione contro la repressione del sistema. Ritengo infatti che tale liberazione appartenga a una storia passata e sia in ritardo di una rivoluzione, come il Messia di Kafka che viene l'indomani del Giudizio Finale, quando non è più necessario, quasi un effetto di realtà ritardata, per salvare dei corpi che non hanno mai avuto bisogno né del Messia né della rivoluzione per accadere. Inoltre questo sistema di "liberazione", a cui dà man forte tutta quella letteratura che ormai si spreca sul corpo e sul desiderio, è oltremodo insidioso, perché finisce col mobilitare, e non per liberare, le potenzialità espressive del corpo (che già da tempo sono state confiscate dall'"anima", dallo "spirito" o dai "valori"), per un'emancipazione programmata, in vista di uno sfruttamento più razionale e sistematico. E così paradossalmente questa "scoperta del corpo", che si vuole presentare come premessa per la sua liberazione, è utilizzata per liquidarlo definitivamente nell'ingranaggio del sistema e della sua produzione che, non contenta di sfruttare del corpo la sua forza-lavoro, ne sfrutta anche la forza del desiderio, allucinandolo con quegli ideali di bellezza, giovinezza, salute, sessualità, che sono poi i nuovi valori da vendere. Mobilitato dal sistema nel processo di appetizione-soddisfazione, a cui tutti i moti di "liberazione del corpo" danno il loro inconsapevole contributo, il corpo diventa quella istanza gloriosa, quel santuario ideologico in cui si consumano gli ultimi resti della sua alienazione. Tutte le religioni della spontaneità, della libertà, della creatività, della sessualità grondano del peso del produttivismo e della logica dei valori, che possono crescere e accumularsi solo se il corpo si lascia sedurre e abbandona il suo naturale campo di gioco che è il mondo. Non l'anima e il corpo, ma il corpo e il mondo, in quell'originaria co-esposizione in cui è il primitivo senso del mondo, il suo scaturire immotivato, a cui il corpo, dopo il primo ingenuo contatto, cerca di dar senso. Nel mondo ogni mio atto rivela che la mia esistenza è corporea e che il corpo è la modalità del mio apparire. Questo organismo, questa realtà carnale, i tratti di questo viso, il senso di questa parola portata da questa voce non sono le espressioni esteriori di una presunta anima, ma sono io, così come il mio volto non è un'immagine di me, ma sono io stesso. Nel corpo, infatti, c'è perfetta identità tra essere e apparire, e accettare questa identità è la prima condizione dell'equilibrio. Non esiste un pensiero al di fuori della parola che lo esprima, perché, solo abitando il mondo della parola, il pensiero può risvegliarsi e farsi parola. Allo stesso modo non esiste un uomo al di fuori del suo corpo, perché il suo corpo è lui stesso nella realizzazione della sua esistenza. Se non si accetta la totalità di questa presenza è impossibile accedere alla comprensione della realtà umana per come il rapporto quotidiano col mondo ce la rivela.
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