venerdì 8 giugno 2012

A proposito di Lecaldano

Estratto da una recensione di un testo del filosofo E. Lecaldano.

Lecaldano, Eugenio, Un'etica senza Dio.
Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. XIV + 110, 12,00 euro, ISBN 88-420-8000-4.

Recensione di Ivo Silvestro 2/5/2007

"[...] Innanzitutto non è possibile dimostrare l'esistenza di Dio: ogni etica divina si ritroverebbe pertanto infondata.Una siffatta etica non può inoltre essere universale: essa non si applicherebbe ad atei ed agnostici e, qualora si volesse partire da una religione rivelata, ai credenti di altre confessioni.
Un comportamento etico non può essere eterodiretto, ma deve essere liberamente e autonomamente scelto dal soggetto: l'etica non può quindi ridursi all'obbedienza di comandamenti di origine divina. L'etica non può nemmeno fondarsi sulle leggi di natura, intendendo la natura come manifestazione o progetto di Dio: la natura così concepita semplicemente non esiste, si tratta soltanto di una giustificazione a posteriori di scelte etiche preconcette.
Infine, un'etica dedotta da Dio tende a volersi applicare, o meglio imporre, a tutti, ignorando così le differenze individuali e, soprattutto, la irrinunciabile differenza tra legge e morale. Alcuni argomenti di Lecaldano lasciano perplessi. Prendiamo, ad esempio, la non universalità dell'etica divina: se Lecaldano intende sostenere che l'etica di un credente non può essere la stessa di un ateo (non devoto), non si capisce dove stia il problema, dal momento che la morale non è la legge e non deve valere per tutti i membri di una certa comunità; se invece occorre intendere questa non universalità nel senso che il credente non considererà l'ateo un soggetto degno di attenzione morale, allora la tesi di Lecaldano è semplicemente falsa. In generale, a non convincere non sono tanto gli argomenti, sostanzialmente corretti, ma l'immagine del credente sostenitore di una etica fondata su Dio, o comunque a lui riferita, tratteggiato in maniera quasi caricaturale, come viene almeno in parte riconosciuto (p. 27). Lecaldano si è indubbiamente ispirato alla realtà per queste caricature: gli esempi, purtroppo, non mancano ed è bene argomentare contro simili schemi mentali che dovrebbero essere superati da tempo. Tuttavia, la possibilità che vi sia qualcosa oltre queste caricature non viene presa in considerazione: per Lecaldano un'etica con Dio non può che ridursi all'obbedienza per paura dell'eterno castigo, privando i discorsi sul bene e sul male di qualsiasi autonomia. Eppure gli esempi contrari non mancano. Si pensi, ad esempio, alla condanna, da parte della chiesa cattolica, del volontarismo, che riconduce appunto alla libera volontà di Dio la definizione di bene e di male, arrivando a sostenere la possibilità che Dio avrebbe potuto anche far sì che quello che noi chiamiamo male sia bene e viceversa. [...] La responsabilità morale ha due radici: l'autonomia e la libertà. Lecaldano accoglie una interpretazione minimale ed empirica di questi due concetti: la libertà è da intendersi semplicemente come «assenza di qualsiasi costrizione o coercizione esterna nella scelta delle azioni da compiere» (p. 33).
Una definizione più vicina a Hume e a Mill che a Kant, la cui prospettiva, basata sul libero arbitrio e sull'indifferenza rispetto a emozioni e ricompense, viene definita «spiritualistica e criptoreligiosa» (p. 33). La moralità di una azione è quindi indipendente dal movente, che può anche essere di natura sentimentale.
L'etica «è una realtà da spiegare, e non già da fondare» (p. 45). Per Lecaldano l'etica è radicata nella natura dell'uomo: «la capacità degli esseri umani di farsi guidare da distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso è radicata nella loro natura biologica» (p. 44). La natura alla quale si riferisce Lecaldano è, appunto, quella biologica: non è la natura statica e vincolante dell'etica divina. Una simile etica naturale si inserisce coerentemente nella «concezione naturalistica e secolarizzata dell'universo nel suo insieme» (p. 37) che, grazie all'evoluzionismo darwiniano e senza bisogno di creatori e progettisti, può spiegare l'origine della vita e dell'uomo. La morale, questa innata capacità umana, è dunque anch'essa il frutto della selezione naturale. Lecaldano sottolinea in proposito il ruolo dell'emozione: i sentimenti che accompagnano i comportamenti virtuosi e viziosi, e in particolar modo la simpatia verso le emozioni altrui, possono spiegare, ad esempio, l'ampia diffusione di regole morali simili. Con questo riferimento all'emotività si spiega la già ricordata critica alla concezione kantiana di autonomia morale, che esclude appunto i sentimenti dai legittimi moventi morali. Un'etica senza Dio non può ovviamente ridursi all'emotività: la riflessione razionale ha anch'essa un ruolo fondamentale per i nostri giudizi morali, giudizi che saranno sempre individuali. Ciò implica una sorta di pluralismo etico: «un'etica senza Dio dovrà ammettere l'esistenza di un grande numero di persone moralmente responsabili e, data la loro autonomia e libertà, dovrà dare per scontato che vi sia una grande diversità nei modi in cui queste persone realizzeranno la propria ricerca di una condotta moralmente responsabile» (p. 34). Un'etica senza Dio non potrà quindi possedere quei caratteri di assolutezza, eternità e universalità tipici dei principi morali derivati dai comandi eteronomi di Dio (p. 49). Lecaldano prospetta un'etica vicina all'effettiva esperienza dell'uomo, basata innanzitutto sul rispetto dell'individuo. È proprio grazie al concreto riconoscimento delle esigenze dell'individuo, della sua storia e della sua cultura, che è possibile attuare la netta distinzione tra etica e legge: la sanzione giuridica non è uno strumento di controllo delle condotte personali. In conclusione, la distinzione tra un'etica senza Dio e un'etica basata su Dio si gioca principalmente su tre aspetti di discontinuità: «la rinuncia alla ricerca di valori comuni e convergenti come mezzo per la realizzazione di un progresso morale; la sottodeterminazione di valori sostantivi come la solidarietà e la carità che potrebbero segnare la continuità tra etiche del passato e del presente; l'abbandono di una riflessione morale con pretese fondazionali a favore di un'elaborazione che mette in secondo piano l'obiettivo di riuscire a identificare la soluzione giusta e buona da raccomandare a tutti» (p. 54). Privare l'etica di un fondamento assoluto per consegnarla così alla concreta esperienza individuale è una mossa convincente. Non si capisce tuttavia la necessità di sostituire alla fondazione una spiegazione: l'etica è una realtà innanzitutto da migliorare e da adattare al contesto, la sua naturalizzazione non sembra aggiungere nulla al discorso che risulterebbe completo anche senza il riferimento all'evoluzionismo. Probabilmente l'intenzione di Lecaldano è di sottolineare la distinzione tra l'etica senza Dio e l'etica con Dio, evidenziando l'autonomia e la coerenza di un punto di vista ateo sull'uomo e sull'universo. Un'altra perplessità è dovuta alla sostanziale continuità che Lecaldano sembra attribuire a sentimenti e riflessioni razionali, quasi che le seconde debbano semplicemente migliorare e portare a compimento le prime. Eppure vi sono emozioni che si allontanano da quei principi etici generali, come il rispetto per l'altro, che Lecaldano accoglie come base di un'etica senza Dio. Alcune ricerche hanno ad esempio mostrato come risulti più appagante rinunciare a un proprio vantaggio, o addirittura accettare uno svantaggio, pur di infliggere un danno a un'altra persona riconosciuta come estranea, non appartenente cioè al proprio gruppo. In casi come questo la riflessione razionale deve opporsi alla risposta emozionale; purtroppo i contorni di questa opposizione non vengono neppure accennati da Lecaldano. [...]"

Personalmente non comprendo come si possano avanzare alcune ardite speculazioni senza uno straccio di argomentazione sia essa empirica,scientifica,logica o semplicemente convenzionale o relativista. Come può infatti Lecaldano affermare che l'etica «è una realtà da spiegare, e non già da fondare»  «la capacità degli esseri umani di farsi guidare da distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso è radicata nella loro natura biologica» ? Razionalisti sì, riduzionisti (biologici) no. Il nonnetto filosofo è ancora in vita: provvederò ad interrogarlo di persona appena possibile.

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