martedì 10 settembre 2013

l'anarchismo bakuniano

Estratto dal testo di Gianfranco Ragona, Anarchismo - le idee e il movimento (pagg.33-39).
Leggendo Bakunin appare chiaro come anch'egli non avesse compreso che il sentimento intuitivo e libero dell'agire rivoluzionario non appartiene ai proletari - con qualunque categoria storica essi vengano identificati - ma ai bambini cresciuti che non hanno dimenticato.

"Con il russo Bakunin appare sulla scena politica europea la più celebre,ammirata e,non di meno,contestata figura dell'anarchismo di tutti i tempi. Benché la sua opera non sia affatto sistematica,egli fu in grado di donare all'anarchismo un contributo ineguagliato sul piano ideale e organizzativo. Grafomane ma inconcludente,organizzatore instancabile ma spesso confusionario,Bakunin era in grando di emanare un'aura affascinante e carismatica,il che gli consentì di disseminare seguaci in ogni paese d'europa,così come di guadagnarsi le attenzioni di molte polizie,non solo del continente. Queste rivaleggiarono con i suoi più creduli ammiratori nel dar credito all'esistenza di innumerevoli leghe segrete,pronte ad assaltare i centri del potere alla prima occasione favorevole,che il più delle volte scaturivano dalla fervida fantasia del loro ispiratore. Foga polemica e brama d'azione si concretarono in una messe di lettere,indirizzi politici,opuscoli,al cui centro si colloca la celebre opera Stato e anarchia (1873),una sintesi incompiuta ma efficace,composta negli anni della vecchiaia,della sua pur disordinata dottrina. Ribelle romantico,in fuga dalla madrepatria,Bakunin si formò sull'idealismo classico tedesco,che conferì alla sua meditazione una dimensione realistica,com'era del resto successo al suo antagonista Marx. In tardà età,avrebbe guardato con occhio benevolo ma ironico a questa fase della sua formazione: "Chi non ha vissuto quell'epoca non potrà mai capire quanto fosse forte il fascino di quel sistema filosofico negli anni trenta e quaranta. Si credeva che quell'assoluto ricercato da sempre fosse stato finalmente trovato e spiegato e che lo si potesse comprare a berlino all'ingrosso o al minuto" (Bakunin,1873) . Bakunin tentò sempre di sotrarre le sue aspirazioni rivoluzionarie alla presa della metafisica,reputata incapace di cogliere e afferrare la veravita degli individui associati e di preparare l'emanicipazione generalizzata e popolare. L'idea dell'insurrezione,tuttavia,assunse in lui i contorni dell'atto palingenetico,una vera e propria rigenerazione del mondo e dell'uomo. Egli pensava dalla rivoluzione come a un continuum,capace di unificare,per esempio,le vicende parigine del giugno 1848 alla comune del 1871,e con ciò recuperava la concezione proudhoniana della "rivoluzione permanente", più tardi accolta e sintetizzata acutamente dall'anarchico tedesco Gustav Landauer in forma perferzionata e limpida (Landauer,1907) [...]  Correva il 1842 quando scoprì che "l'impulso alla distruzione è anche un impulso creativo" (Bakunin,1842), sancendo precocemente quel nesso inestricabile tra demolizione del vecchio ordine edificazione del nuovo che non avrebbe mai più accantonato. In tutte le diverse stagioni che attraversò,sin dal periodo del panslavismo,di cui fu esponente di spicco soprattutto negli anni rivoluzionari del 1848-1849, si dimostrò convinto che fosse necessario azzerare le strutture della società esistente, facendo tabula rasa delle istituzioni politiche,sociali e morali che perpetuavano la servitù dei singoli e delle masse diseredate, al fine di edificare un ordine all'insegna della libertà. Del resto,col tempo,credette di scorgere direttamente nelle masse quella passione per la distruzione:certo,si trattava di una passione negativa,e pertanto da sola non avrebbe potuto elevarsi a prassi rivoluzionaria,ma senza una preliminare opera di pulizia sociale,senza una forma di "distruzione salutare e feconda", nessun mondo nuovo avrebbe mai visto la luce. La distruzione si configurava come condizione necessaria ma non sufficiente. Contestando avant le lettre l'adagio del "tanto peggio tanto meglio", che in seguito il senso comune avrebbe tante volte attribuito all'anarchismo,Bakunin non riteneva che l'aggravamento della miseria e la disperazione delle masse potessero costituire condizioni soggettive della rivoluzione,ma reputava che potessero suscitare lo spirito di rivolta indispensabile per la grande trasformazione. In definitiva, i concetti di distruzione e di creazione si mantennero sempre in equilibrio,senza che uno prendesse il primato sull'altro:la rivoluzione coincideva con la distruzione in atto, e per edificare necessitava di "organizzazione". L'organizzazione doveva accompagnare l'impegno collettivo verso l'anarchia perché la società ideale non sarebbe nata da sé,per volontà della storia o del progresso o della natura. Bakunin,però,avversava l'organizzazione partitica,accettando soltanto la strutturazione di gruppi ristretti incaricati di portare cultura alle masse diseredate, non per guidarle ma per indirizzare le forze che periodicamente si scatenavano in rivolte,spontanee e disordinate,senza imporre schemi predeterminati in nomedi presunte leggi di sviluppo stabilite da qualche testa d'uovo o dirigente di partito. Il partito,in fondo,rispecchiava in miniatura lo stato stesso,con tutte le sue alienazioni e l'imposizione alle masse della volontà dei dirigenti.
Un'altra prova della disponibilità bakuniana ad accettare il principio dell'organizzazione si ritrova nella continua polemica contro il militarismo,cui il russo contrapponeva le virtù della violenza rivoluzionaria,appunto organizzata:"Per lottare contro una simile belva selvaggia bisogna possedere un'altra belva non meno feroce ma più giusta:la rivolta del popolo,la rivoluzione sociale che,allo stesso modo della reazione militare,non risparmierà niente e nessuno" (Bakunin,1873). Dietro tale prospettiva si celava una visione sdoppiata del principio organizzativo, che appariva un bene se era popolare e procedeva dal basso, un male se favoriva il verticismo. Il che svelava la sconfinata e ingenua fiducia di Bakunin nel fatto che i sentimenti profondi dei popoli fossero realmente e spontaneamente coincidenti con i solenni valori di libertà,eguaglianza e fratellanza. Del resto,ammettendo il caso opposto,cioè se la fiducia nell'uomo e nell'umanità si fosse rivelata mal riposta,e i popoli,i contadini,i reietti avessero nascosto in sé violenza e ansia di sottomissione e sfruttamento dell'altro,oppure accettando semplicemente un'antropologia laica (per cui l'uomo non è in sé nè buono né malvagio), l'intero edificio teorico si sarebbe sgretolato come un castello costruito sulla sabbia. Tuttavia sul punto Bakunin non sembrò mai nutrire dubbi: l'aggressività e la malvagità albergavano nello stato,che cresceva all'aumentare del suo grado di perfezionamento (come nella germania di Bismark). I rivoluzionari anelavano alla libertà,non già al potere,che negli scritti di Bakunin venne sottoposto a critica in ogni sua manifestazione,dalla politica alla famiglia. Nel complesso della sua meditazione,infatti,risultava cruciale proprio la critica del potere in sé e per sé : "Queste sono le convinzioni dei socialisti rivoluzionari e per questo ci chiamano anarchici. Noi non protestiamo contro questa definizione,perché siamo realmente nemici di ogni autorità,perché sappiamo che il potere corrompe sia coloro che ne sono investiti sia coloro i quali devono soggiacervi. Sotto la sua nefasta influenza gli uni si trasformano in despoti ambiziosi e avidi, in sfruttatori della società in favore della propria persona o casta, gli altri in schiavi" (Bakunin,1873). [...] In aggiunta Bakunin attaccava gli intellettuali - un ceto solo apparentemente autonomo,in realtà un solido supporto del potere - e con essi contestava le scienze. Sul piano teorico, egli credeva fermamente che la natura precedesse sempre il pensiero, e quindi che non ci fosse alcuna necessità di una classe di scienziati incaricati di scoprirne le leggi di funzionamento obiettivo,per imporre poi alla società forme di governo dittatoriali legittimate per quella via. C'era in tali posizioni la ripulsa del positivismo,con il convincimento che nella spontanietà naturale dei popoli si potessero intravedere i contorni della futura organizzazione libertaria: l'ideale anarchico,in una parola, si trovava nel popolo,sicché la società ideale non sarebbe stata il frutto di alcuna operazione di ingegneria sociale,fosse pure all'insegna del più commovente umanitarismo,bensì l'esito della rinascita,della riscoperta di qualcosa che era profondamente radicato nello spirito dei popoli, assopito o conculcato,ma vivente e progressivo. Solo così,del resto,Bakunin poteva giustificare il rifiuto di ogni forma di elitismo che pretendesse di incarnare una presuntà volotnà generale: non di inventori aveva bisogno la rivoluzione sociale,bensì di sollecitatori; non di partiti,che riproducevano le dinamiche del potere per addrestrarsi a farsi stato,bensì di accompagnatori,capaci di risvegliare i popoli dando fuoco alle polveri della riscossa egualitaria e libertaria,in nome di valori e bisogni profondamente radicati nell'intimo di individui e gruppi asserviti a questo o quel potere artificiale. A differenza dei "marxisti", che - sosteneva - paventavano ogni rivolta che promanasse dal popolo,o da suoi settori specifici,in assenza della mediazione di un'elite di partito,gli anarchici facevano affidamento in special modo sui contadini,libertari "per natura". Il secondo piano su cui Bakunin svolse la sua polemica anti-intellettualistica era eminentemente politico. Osteggiando ogni ipotesi di rigenerazione sociale partorita dalla mente di qualche "chierico" isolato, e persuaso che la vita sociale del futuro non potesse essere indicata da nessuna scienza della società o della storia,l'attacco frontale alla pretesa dominatrice degli scienziati prendeva di mira il tanto avversato "socialismo scientifico": "Dalla sua stessa natura ogni scienziato è portato verso ogni sorta di perversione intellettuale e morale e suoi vizi capitali sono l'esagerazione delle proprie conoscenze,della propria intelligenza e il disprezzo di tutti coloro che non sanno" (Bakunin,1873). In parole come queste si può riconoscere la veemente critica del cosiddetto socialismo autoritario,argomentata anche con dichiarazioni antisemite,rivolte sia al socialista tedesco Ferdinand Lassalle sia a Marx. Il problema,naturalmente,riguardava lo stato:se il proletariato organizzato in partito avesse conquistato il potere,sopra chi avrebbe dominato? Marx avrebbe risposto:sui controrivoluzionari e sulle classi spodestate (aristocratici e borghesi); per Bakunin invece la scuola marxista non pensava al governo del proletariato,bensì al governo di una minoranza organizzata (il partito) che fatalmente avrebbe riproposto i meccanismo tradizionali del potere in forma subdola, perché ammantati dall'ideologia scientifica. Si sarebbe così creata una "aristrocrazia nuova", che avrebbe esercitato una dittatura permanente: del resto,pensava Bakunin,se lo stato fosse davvero popolare,perché sopprimerlo? Egli,perciò,si faceva beffe della dialettica mezzi-fini propagandata dal socialismo scientifico:"l'anarchia o la libertà sono il fine,lo stato o la dittatura sono il mezzo. E così per emancipare le masse popolari si dovrà prima di tutto soggiogarle" La dittatura, al contrario, non avrebbe mai condotto alla libertà, non avendo altro fino che la propria perpetuazione: "La libertà può essere creata solo dalla libertà ovvero dalla rivolta di tutto il popolo e dalla libera organizzazione delle masse dei lavoratori dal basso in alto" (Bakunin,1873).

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