giovedì 22 agosto 2013

diritto pubblico e costituzionale: quando è possibile ricorrere alla consulta

Per dirimere eventuali dubbi in merito. Resta esclusa, nonostante tutto, la possibilità del singolo cittadino di appellarsi per via diretta alla consulta. Poteva andare peggio, ma anche no.

GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE: REQUISITI PER SOLLERVARLO
Vero è che, con ogni probabilità, non ha un gran significato distinguere tra una funzione garantista ed una funzione arbitrale della Corte costituzionale svolta, a seconda dei casi, nelle evenienze in cui giudica della legittimità costituzionale delle leggi in via incidentale od in via di azione, posto che indubbiamente, qualora pervenga alla declaratoria di incostituzionalità di una legge svolgerà ad un tempo entrambe le funzioni, sia di garanzia e di tenuta dell'ordinamento e dunque anche di garanzia delle libertà fondamentali, ma anche di tenuta e di garanzia del sistema delle competenze. È indubbio tuttavia che, anche e soprattutto per, l'evoluzione che ha conosciuto il sistema diretto di impugnazione delle leggi statali e regionali, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la via privilegiata di salvaguardia dei diritti fondamentali costituzionalmente tutelati sia diventata il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.]]>
 
Come già evidenziato, salvo ipotesi eccezionali, soltanto lo Stato e le Regioni possono ricorrere direttamente alla Corte costituzionale, cosicché, qualora un singolo cittadino ritenga leso un proprio diritto fondamentale da una legge od atto equiparato assunto incostituzionale o più semplicemente si imbatta in un atto incostituzionale non potrà adire direttamente il Giudice delle leggi, ma dovrà pervenire alla Corte per la via incidentale. La relativa questione di legittimità costituzionale dovrà essere sollevata nel corso di un giudizio di fronte ad un'autorità giurisdizionale, con il filtro necessario di un previo "processo", per il tramite di un "introduttore necessario", il giudice - art. 23, legge n. 87/1953. Si evidenzia dunque il carattere della concretezza del giudizio in via incidentale, teso ad un tempo a garantire la tenuta della legalità costituzionale, ma dall'altro lato a tutelare le situazioni soggettive di volta in volta coinvolte.
Nel corso di un qualunque processo, su istanza di parte - ivi compreso il Pubblico ministero - o anche d'ufficio, il giudice può sollevare questione di legittimità costituzionale, rimettendo la questione alla Consulta, dopo aver accertato la sussistenza di taluni presupposti (art. 1, legge cost. 1/1948).]]>
 
Il carattere "incidentale" del giudizio discende dal fatto che la questione di costituzionalità si pone come una questione incidentale entro il procedimento principale.

La necessità di un requisito soggettivo e di uno oggettivo per la proponibilità della questione di legittimità costituzionale
Stando al dettato dell'art. 23 della legge 87/1953 è necessario, ai fini della proponibilità della questione, un requisito oggettivo - deve essere sollevata "nel corso di un giudizio" - ed uno soggettivo - deve essere sollevata "dinanzi ad una autorità giurisdizionale" - ancorché, nonostante talune oscillazioni, la Corte si sia talvolta accontentata della sussistenza di uno solo dei due requisiti (cfr., G. DE VERGOTTINI, 2006).
Così, non sarebbe in quest'ottica necessario che ci si trovi nel corso di un giudizio in senso stretto, di fronte ad un giudice incardinato nei ruoli della magistratura ordinaria od amministrativa, sarebbe sufficiente la sussistenza di una situazione in contestazione tra due parti contrapposte di fronte ad un soggetto chiamato a pronunciarsi in posizione di terzietà ed imparzialità.
Più precisamente la Corte ha ritenuto sufficiente la sussistenza di uno solo dei due presupposti di fronte a questioni sollevate da soggetti comunque incardinati nei ruoli della magistratura, titolari di uffici qualificati come giurisdizionali, indipendentemente dalle funzioni esercitate - in questo senso, sent. n. 83/1966. 
Altre volte invece ha preteso la sussistenza di entrambi i requisiti, cosicché l'attribuzione della qualifica di giudice a quo ai fini della proponibilità della questione di costituzionalità a soggetti estranei all'organizzazione giudiziaria è stata subordinata all'esistenza dei caratteri della indipendenza e terzietà, propri dell'attività giurisdizionale. Non sono mancate e non mancano tuttavia talune oscillazioni, cosicché, mentre in una prima fase pareva che la Consulta potesse accontentarsi del ricorso alternativo dell'uno o dell'altro requisito, in altre circostanze è pervenuta finanche ad escludere dalla proponibilità della questione gli stessi organi giudiziari nelle occasioni in cui svolgessero funzioni di carattere amministrativo e non già giurisdizionale. Così, con sentenza 226/1976 è stato riconosciuto il carattere di giudice a quo alla sezione di controllo della Corte dei conti; ancora, è stato riconosciuto alla sezione disciplinare del CSM, alla Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione del bilancio, alle Commissioni per la liquidazione degli usi civici, alla Commissione dei ricorsi in materia di brevetti, al Consiglio nazionale forense in sede disciplinare, al Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali. Può sollevare questione di costituzionalità il giudice di sorveglianza per l'esecuzione della pena, il magistrato ordinario in sede di volontaria giurisdizione; poteva il giudice istruttore in sede civile ed il pretore come giudice dell'esecuzione esattoriale immobiliare, nonché, i Consigli di prefettura in sede giurisdizionale contabile, le Giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale e gli intendenti di finanza. Si è escluso invece il carattere della terzietà ed indipendenza per le Commissioni tributarie - sentenze 6 e 9/1969 - nella vecchia composizione, mentre lo si è riconosciuto nella nuova. La Corte con le sentenze 132/1973 e 96/1976 ha escluso la proponibilità di questioni anche da parte di titolari di organi giudiziari quando non esercitino poteri decisori o quando operino all'interno di procedimenti amministrativi. Per evidente difetto di entrambi i requisiti la Corte ha escluso la proponibilità di questioni da parte del notaio rogante (ord. 52/2003), pur essendo pubblico ufficiale, e da parte dei Consigli comunali in occasione del procedimento di contestazione dell'elezione di un consigliere (ord. 78/2003). Il Pubblico ministero, anche quando svolge attività sostanzialmente giurisdizionale, non può sollevare questione di costituzionalità, posto che ai sensi dell'art. 23, legge 87/1953 può soltanto proporre al giudice a quo di sollevare analoga questione.
Con sentenza 376/2001 la Corte ha consentito ad arbitri c.d. rituali di proporre questione di legittimità costituzionale, ritenendo sussistenti entrambi i requisiti, oggettivo e soggettivo, in ragione dell'obiettiva applicazione del diritto. Non manca invero chi ritiene sussistente nel caso di specie il solo requisito oggettivo; tuttavia detta decisione è parsa alla gran parte della dottrina condivisibile, se non addirittura "lungimirante", posto che, se confermata, consentirebbe l'affermazione del controllo di costituzionalità su buona parte degli oggetti della disciplina privatistica, che altrimenti rischierebbero di rimanerne esclusi. Tutt'ora problematica rimane la proponibilità di questioni da parte delle Autorità amministrative indipendenti. Non vi è alcun dubbio infine che la Corte costituzionale possa sollevare di fronte a sé stessa questione di costituzionalità - sentenze 22/1960 e 258/1982; ordinanza 378/1992 - sia in sede di definizione di conflitto di attribuzione, di definizione del giudizio di legittimità costituzionale, di valutazione dell'ammissibilità del referendum abrogativo, che in sede di giudizio sulle accuse mosse nei confronti del Capo dello Stato. Al riguardo è condivisibile la considerazione di chi rileva che altrimenti, negando alla Consulta la qualifica di giudice a quo, si perverrebbe al paradosso che proprio l'organo di giustizia costituzionale sarebbe obbligato a fare applicazione nei suoi giudizi di norme incostituzionali (cfr., M. MAZZIOTTI DI CELSO, G.M. SALERNO, 2005). 
Di questa copiosa giurisprudenza autorevole dottrina ha inteso dare una interpretazione estensiva, rilevando che ai fini della proponibilità della questione di legittimità costituzionale in via incidentale sarebbe sufficiente una qualunque autorità che eserciti una funzione qualificabile come giurisdizionale, sia pure soltanto sotto il profilo formale e procedurale (così, T. MARTINES, 2005 e V. CRISAFULLI, 1970), ancorché pare non coerente con i più recenti svolgimenti della medesima giurisprudenza costituzionale (Da ultimo, cfr., C. PINELLI, 2006, 838 ss.). Sotto questo profilo è sicuramente contestabile l'orientamento della Consulta teso all'affermazione dell'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Corte cost. 21 luglio 2004, n. 254). Nel senso dell'ammissibilità avrebbe invece potuto deporre, da un lato, l'orientamento della Corte di giustizia europea, volto a consentire al Consiglio di Stato in quella veste di sollevare la c.d. "pregiudiziale comunitaria" (Corte giust. CE 16 ottobre 1997 - cause riunite da C-69/96 a C-79/96); dall'altro lato, l'affermata ammissibilità di una questione incidentale di costituzionalità sollevata dalla Corte dei Conti in sede di controllo sugli atti governativi (Corte cost. 19 novembre 1976, n. 226).
L'opportunità di rivedere il citato orientamento della Corte costituzionale troverebbe la principale giustificazione nell'esigenza di consentire la tutela di situazioni giuridiche soggettive emerse in occasione del ricorso straordinario al Capo dello Stato, ove il parere del Consiglio di Stato può produrre effetti. Il consolidarsi di questo orientamento, nell'alternativa in ordine all'opzione tra ricorso amministrativo e ricorso giurisdizionale, rischia di costringere a preferire quest'ultimo, in ragione delle garanzie di eventuale accesso al giudizio di legittimità costituzionale che questo, a differenza del primo, offre. Tant'è che è stato significativamente rilevato che "se si tiene conto che il ricorso straordinario è diffusamente considerato il ricorso dei poveri, è auspicabile che la Corte riveda il proprio atteggiamento e consenta l'accesso al giudizio di legittimità costituzionale anche di questioni provenienti dal Consiglio di Stato in sede consultiva" (così, M. SICLARI, 2007, 18).

I requisiti della "rilevanza" e della "non manifesta infondatezza" nella valutazione del giudice a quo
Individuato così il giudice a quo, dal quale proviene la questione di legittimità costituzionale, è da dire che questi è sì "introduttore necessario" del relativo giudizio, ma funge inoltre da primo filtro - seppur a maglie larghe - per valutare la coerenza rispetto al giudizio e la serietà della proposta questione di legittimità costituzionale. Ne deriva dunque che non è certo obbligato a rimettere gli atti alla Consulta a fronte di una questione sollevata da una delle parti del processo, dovendo invero accertare la sussistenza di due presupposti per la relativa proponibilità. Deve accertare, ai sensi dell'art. 1 legge cost. 1/1948 e 2° comma, art. 23 legge 87/1953, che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata.


La rilevanza
In ragione del carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, il giudice a quo deve in primo luogo verificare che il giudizio alla sua attenzione "non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale" (c.d. "rilevanza"), vale a dire, che la disposizione della cui costituzionalità si dubita dovrà essere applicata nel giudizio a quo e quindi che quel medesimo giudizio non potrà essere definito se prima non viene risolto il dubbio di legittimità costituzionale che ha investito la relativa disposizione.
La Consulta ha dunque fatto ricorso ad una nozione rigorosa di rilevanza, nel senso della necessaria disapplicazione nel giudizio a quo della disposizione dichiarata incostituzionale dal giorno successivo alla relativa declaratoria di incostituzionalità. Ciò che potrebbe determinare talune problematiche nell'evenienza in cui il giudizio di costituzionalità riguardi norme penali di favore, dato che, in ragione del principio del favor rei, non sarebbe comunque possibile prescindere da una loro applicazione, ancorché la Corte abbia ritenuto in tal caso di poter ricorrere ad una nozione più elastica di rilevanza.

E' da precisare che può trattarsi di una norma da applicarsi al merito della controversia, così come di una norma di procedura o riguardante un'azione secondaria, della quale comunque dovrà essere fatta applicazione nel giudizio a quorilevanza che sarà sufficiente sussista al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale, essendo successivamente del tutto ininfluenti le vicende del giudizio che potrebbero comportare il venir meno della rilevanza per quello specifico giudizio a quo.

A tale riguardo è da evidenziare la problematica configurabilità della rilevanza nel giudizio cautelare, divenuta ancor più problematica a seguito della valorizzazione di tale tipologia di giudizio nella riforma del processo amministrativo. Così la Consulta ha ritenuto che il rigetto dell'istanza di sospensiva comporti l'irrilevanza della questione, poiché il giudice avrebbe così esaurito il suo potere cautelare (ordinanza n. 82 del 2005), precisando che nel caso al suo esame era oramai privo di potestas decidendi, in quanto non competente per il giudizio a quo. La regola di carattere generale che sembra comunque muovere la Corte costituzionale in ipotesi del genere è data dal mancato esaurimento del potere cautelare, cosicché il giudice amministrativo potrà emettere l'ordinanza di remissione alla Consulta, previa valutazione della rilevanza, e con separato provvedimento disporre "la sospensione degli atti impugnati in via provvisoria e temporanea fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalità" - così, sent. n. 444/1990, Punto n. 3 del Considerato in diritto. Con tutta evidenza, viene così svilita la reale funzione cautelare del procedimento a quo, che potrà riprendere soltanto a seguito della definizione del giudizio di legittimità costituzionale, ancorché verrà mantenuta la potenzialità di quel giudizio di fungere da introduttore del giudizio di legittimità costituzionale.]]>
 
Conseguentemente, dalla natura incidentale del giudizio di costituzionalità discende che, a fronte di una disposizione palesemente incostituzionale che non sia tuttavia rilevante per la definizione del giudizio principale, il giudice adito non potrà rimettere la questione alla Corte costituzionale ed, in caso contrario, potrà essere quest'ultima a dichiarare la questione inammissibile per difetto di rilevanza - si veda a mero titolo esemplificativo l'ordinanza n. 465/2002 in materia di "legittimo sospetto".]]>
 
È di tutta evidenza che un'ipotesi quale quella da ultimo prospettata desta non poche perplessità ed il rischio di contrasti tra Corte costituzionale e giudice remittente, posto che sostanzialmente la prima si sostituisce al secondo in ordine alla valutazione sull'applicabilità o meno della disposizione controversa al giudizio dal quale la questione proviene (sul punto, cfr., L. AZZENA, 2006, 601 ss.).


La non manifesta infondatezza
In seconda battuta, il giudice a quo dovrà accertare che la questione non sia manifestamente infondata, dovrà quindi sindacare in ordine alla serietà e non pretestuosità della proposta questione, evitando così che pervengano alla Corte finanche le questioni prive del ben che minimo fondamento. È da precisare che il giudice non potrà certo sostituirsi alla Corte costituzionale nel valutare la fondatezza od infondatezza della questione di costituzionalità, ma dovrà limitarsi ad un giudizio di non manifesta infondatezza, ancorché si rinvengano spesso nelle ordinanze di rimessione autentiche valutazioni di assoluta fondatezza della questione.

Il che tuttavia non rileva ai fini della proponibilità o meno, poiché ciò che conta è il giudizio in negativo, non anche quello in positivo. E' di tutta evidenza che il giudice che rimette la questione potrà essere pienamente convinto della fondatezza della stessa, ciò che conta invero è che svolga correttamente la funzione di filtro in presenza di questioni manifestamente infondate.]]>
 
Cosicché, qualora la questione gli appaia palesemente e manifestamente infondata respingerà la richiesta delle parti, qualora invece l'infondatezza non gli paia manifesta, ma vi sia anche una remota possibilità di incostituzionalità della disposizione contestata, qualora abbia anche solo un dubbio in ordine alla legittimità di quella disposizione, sarà tenuto a rimettere la questione alla Corte costituzionale. A maggior ragione, come già evidenziato, sarà tenuto a rimettere la questione alla Consulta quando la ritenga fondata, non potendo in un ordinamento caratterizzato dal giudizio accentrato di legittimità costituzionale sostituirsi al Giudice delle leggi, dovendo così sospendere il giudizio al suo esame e demandare la decisione alla Consulta. Il problema è casomai se il giudice a quo rimette soltanto le questioni di cui è assolutamente convinto, evitando invece di rimettere quelle "dubbiose", posto che, come evidenziato, deve sì fungere da "filtro", ma da "filtro largo", delle questioni di legittimità costituzionale.

Anche nel caso della non manifesta infondatezza, così come nel caso della rilevanza, la valutazione compiuta dal giudice a quo non preclude il compimento di analoga valutazione da parte della Corte costituzionale. A differenza inoltre della valutazione in ordine alla sussistenza o meno della rilevanza, che, come detto, può portare ad una ingerenza della Consulta nelle valutazioni del giudice remittente, che solo può sapere se intende o meno fare applicazione della norma contestata, per la non manifesta infondatezza la valutazione della Corte non può destare alcuna perplessità. Questa ricorrerà a decisioni declaratorie la manifesta infondatezza non solo in costanza di questioni che giudica di assoluta inconsistenza, ma anche con riferimento a giudizi già risolti in precedenza con pronunce di rigetto.]]>
 
Qualora infine il giudice a quo ritenga la questione irrilevante o manifestamente infondata dovrà respingerla con ordinanza "adeguatamente motivata" - art. 24 legge 87/1953 - ove appunto darà conto delle ragioni che lo hanno spinto a ritenerla tale. In tal caso l'incidentalità del giudizio di costituzionalità introduce nel sistema elementi tipici del giudizio diffuso di legittimità costituzionale, soprattutto con riguardo alla valutazione di manifesta infondatezza, con riferimento alla quale il giudice a quo opera sostanzialmente una valutazione di conformità della norma sottoposta al suo esame al quadro costituzionale.

L'ulteriore requisito dell'impossibilità di ricorrere ad interpretazione adeguatrice]]>
 
Analoga valutazione è da compiere con riferimento ad altro requisito che viene di recente richiesto dalla Corte costituzionale ai fini della proponibilità della questione, vale a dire la previa esperibilità da parte del giudice remittente di una interpretazione adeguatrice, conforme a Costituzione. Dove il fattore didiffusività del sistema si desume dal giudicare la norma conforme a Costituzione in forza di una interpretazione sostanzialmente adeguatrice, evitando così di pervenire al giudizio della Consulta.
Ciò che pare di un certo interesse è che più di recente la Corte ha proposto il ricorso ad interpretazioni adeguatici finanche nel giudizio in via di azione, delineando dunque l'esigenza di una previa interpretazione conforme a Costituzione alla stregua di un principio dalla valenza generale nel giudizio di legittimità costituzionale, a prescindere dalla modalità di instaurazione del giudizio. Così, si veda il Punto n. 3 del Considerato in diritto delle sentt. nn. 238 e 239 del 2006, più sopra citate.]]>
 
In quest'ottica si spiega la precedenza data dalla Corte alla pregiudiziale comunitaria, nel senso che qualora questa venga proposta dal giudice remittente dovrà essere decisa prima della proposizione della questione di legittimità costituzionale. Ancora una volta dunque alla Consulta si perviene soltanto quando non vi siano dubbi in ordine all'interpretatone della norma, o forse più propriamente la Corte costituzionale si riserva così l'interpretazione ultima delle disposizioni contestate (sulla materia si rinvia a G. SORRENTI, 2006).]]>
 
La necessità dunque di un'interpretazione adeguatrice, qualora naturalmente ciò sia possibile e qualora non si sia già instaurata un'interpretazione generalmente condivisa, è anche in parte la conseguenza del divieto di proposizione di questioni alternative. La giurisprudenza costituzionale è infatti costante nel dichiarare l'inammissibilità delle questioni che prospettino meri dubbi interpretativi, dovendo dunque il giudice scegliere tra le diverse opzioni interpretative prospettabili per quella conforme a Costituzione, che dunque fa salva la disposizione, e solo in assenza di quella rimettere la questione alla Consulta.

L. MEZZETTI, M. BELLETTI, E. D'ORLANDO, E. FERIOLI, La giustizia costituzionale, Padova, 2007, 418-426.

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