martedì 13 agosto 2013

drogarsi e morire

Registro la morte di un altro adolescente in discoteca per un cocktail di alcool e anfetamine. Evidentemente l'informazione non è sufficiente, nè a scuola nè tra le mura, sconnesse, genitoriali.
Eppure un uso lecito personale di cannabis e sostanze psicoattive è da secoli attestato (salvia divinorum per gli antichi romani, funghi della specie psilocybe semilanceata per i culti religiosi pagani e pre-moderni); mi limito qui a registrare il problema della dipendenza, sia psicologica che fisica, vero nodo cruciale del disagio transculturale e intergenerazionale. L'età, d'altra parte, è irrilevante. Quando però la vita diviene manifestamente ingestibile, l'impossibilità di una gestione del senso critico da parte di adolescenti inerti si converte nell'autodistruzione sociale. Non ho bisogno di cannabis nè di sostanze allucinogene quando sono in compagnia dei miei amici più piccoli (12 anni e meno); meditare sul particolare, emotivo e costituzionalmente irrevocabile. D'altra parte respingo la critica politicamente corretta anti bacco. E dell'anti eccesso (sulla cui definizione in seno a certi ordinamenti sociologici) ad ogni costo. Concludo con la seguente nota politica. La morte di una mia amica, il cui stato psicologico era da tempo manifestamente gravemente disturbato, è anch'essa deceduta in seguito ad una mistura di alcool e agenti variamente psicotropi. Il topos politico risiede non tanto nel perché o nel quando, ma nel dove. Il tutto è infatti accaduto in una struttura istituzionalmente protetta. Educatori assenti, risultato scontato. E da parte delle persone amiche a lei vicine troppo spesso il giudizio è univocamente indifferente, falso e ritratto verso sfere emotive altrettanto borderline: il suo destino era segnato. Non sono d'accordo personalmente; ma chi le era vicino, intimo,non ha altre ragioni da spulciare. Anche lui borderline. Si concluderà che il simile condivide il simile. E invece no, in questo caso la similitudine non è una relazione di equivalenza.

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